E’ possibile evitare di cadere nella vischiosa rete della giustizia? E’ possibile valersi, finalmente, del meccanismo giudiziario in modo civile ed evoluto senza restarne vittima? Oggi sembra che a questi interrogativi si possa finalmente iniziare a dare una risposta affermativa. Inutile ricordare come i processi italiani siano lunghi e spesso farraginosi. L’avvocato impara fin dagli anni della pratica forense a destreggiarsi in questo labirinto. Il cittadino, potenziale utente del sistema giudiziario, di fronte alla possibilità di intraprendere una causa per veder salvaguardati i propri diritti, a volte preferisce rinunciare piuttosto che affrontare spese e lungaggini che, in fondo, non sono altro che espressione di una vera e propria denegata giustizia.
In un’ottica di gestione ottimale dei propri diritti e interessi, in un ambito molto delicato quale il diritto di famiglia, anche in Italia si sta sviluppando una prassi virtuosa chiamata pratica collaborativa (collaborative law).
Nata in America dall’avvocato Stuart Webb, e poi proficuamente sperimentata in altri paesi come l’Inghilterra, la Francia, la Svizzera e l’Australia, la pratica della separazione collaborativa è un modello che prevede la collaborazione fattiva di più discipline tra loro interconnesse (avvocati, psicologi, mediatori, commercialisti ed esperti di problematiche relative ai figli) al fine di una positiva risoluzione delle conflittualità familiari. Il c.d. team collaborativo lavora insieme per portare il processo separativo da una dimensione tipica dello scontro in tribunale ad una soluzione condivisa e frutto di una cooperazione tra individui e professionalità, il cui unico fine è proprio quello di raggiungere un accordo partecipato e voluto dai diretti interessati.
L’accordo così concluso ha tutti i presupposti per essere stabile e duraturo, perché responsabilmente raggiunto e condiviso.
L’approccio collaborativo si sta diffondendo in Italia soprattutto per opera della associazioni professionali forensi, che hanno promosso la formazione di tale pratica, per esempio l’Istituto Italiano di Diritto Collaborativo (IICL).
Si auspica davvero un incremento dell’utilizzo di questo strumento, applicabile peraltro anche ad altri ambiti oltre a quello di famiglia, attraverso la formazione di un numero sempre maggiore di professionisti collaborativi, affinché da un ambito di scontro, all’esito del quale c’è sempre un vincitore ed un perdente, si possa trasmigrare verso soluzioni condivise, idonee a raggiungere risultati che rendano le parti in causa entrambe vincitrici.